mashal-054. Sogni che si ricordano
by
Georg Moshe Rukacs
Questa notte,
affaticato già da giorni e notti precedenti, e non proprio in attività
scrittorie, ma anzi da lavori del tutto manuali, ne approfitto per dormire
appena troppo. Non mi piace dormire troppo, né necessariamente di notte. Anzi,
dormo meglio ad altre ore. Ci sono comunque sempre i vincoli di quello uno
debba eventualmente fare a vari orari della giornata.
Inoltre, non dormo
per molte ore continuate. Dormo a tratti. E poi decido se rigettarmi nel sonno
oppure alzarmi, a seconda dell’ora, o se abbia cose da fare, e del desiderio
del momento. Per cui possono dormire da un complesso di poche ore, al doppio od
al triplo. Dipende anche dalle stagioni o da altri fattori. E non è neppure
correlato alla eventuale fatica fisica. Anzi, se sono occupato in attività o
lavori fisici, cerco di dormire meno non di più. Almeno tendenzialmente, senza
che questa sia necessariamente una norma ben definita.
Del resto esistono
varie teorie sulle ore di sonno necessarie sebbene, alla fine, la cosa migliore
è che uno si regoli sul proprio fisico e sulla propria psiche. Non è un campo
nel quale le tabelle di marcia (che non è neppure detto sempre valgano in altri
campi) funzionino.
Passati i sogni che
non si ricordano, per cui non so se si siano veramente svolti, si arriva
all’ultimo che s’interrompe nel dormiveglia se qualche propaggine non si
mescoli con esso. Tra l’altro anche i sogni che ci sforza di ricordare al
risveglio se ne vanno se non li si fissi subito o nella memoria di lungo
termine o per iscritto.
Mi ritrovo in
un’ascensore di un palazzone di ceti medi e professionali. Mentre cerco la via,
con le difficoltà e semplificazioni tipiche dei sogni, verso l’appartamento di
Jessica, architetta dissoltasi senza che se ne senta la mancanza, in qualche
piano non al di sotto del decimo, nell’ascensore mi imbatto in gente del
palazzo, donne.
Il palazzone è a
più scale. Sotto di esso, ma al pian terreno, aperto ed illuminato, di giorno,
dalla luce esterna, v’è come un’area parcheggio ma non mi ricordo di auto, per
cui è come un grande accesso sgombro alle varie scale. Come quei posteggi
americani dei film, ma qui siamo al pian terreno. L’edificio è, almeno visto da
sotto, da quell’interno, abbastanza grande pur non enorme. Non è grigio. È
colorato anche se solo di colori naturali, le luci ed il sole dall’esterno.
L’atmosfera è calda, non in gradi, dato che miei sogni sono sempre senza
temperature.
Le donne
dell’ascensore sono divorziate con figlie affianco che ci provano, ci provano
con me. Sono quelle cose da sogno, ma pure da realtà, dove fameliche ti
mangiano cogli occhi e ti mandano segni inequivocabili, che i codici
cinematografico-televisivi hanno fatto divenire realtà, che sono alla ricerca
di cazzo e che gradirebbero il tuo. Il tutto è molto asettico, come tutte le
cose codificate. Non sono cose da film porno.
Arrivato
all’appartamento deserto, non piccolo, che magicamente si apre, sì devo avere
la chiave ma non acquista rilievo nell’azione, ecco che esso è pieno di cose.
Esse sono almeno in parte imballate dato che l’appartamento deve essere
svuotato, per qualche ragione che non conosco. L’appartamento ha da essere
passato a me, ne sto già prendendo possesso, ma non deve essere questa la
ragione per cui vi sia un clima da prossimo trasloco delle cose ora vi sono.
Il palazzone sembra
avere come delle caratteristiche da albergo. Vi sono luoghi d’esso che le
hanno, in qualche modo. Sebbene sia un edificio di veri appartamenti, dunque
anche con cucina, il palazzo ha un’area ristorante. O è compreso nelle spese di
condominio o quel giorno vi è qualche festa per cui si mangia gratis, cioè
senza poi o prima pagare alla cassa di cui non si ha visione. Sì, sì, v’è come
una festa, ma senza musiche né danze. Deve essere mattina perché, lanciata
un’occhiata all’appartamento, mi reco nel piano e nell’area ristorante per la
colazione, la colazione del mattino, che è per me una grande abbuffata dato che
mi servo in abbondanza.
Non so perché,
nell’area ristorante vi sono delle cose si possono prendere gratis. Io scorgo
due quadernoni, di grandi dimensioni e spessi che dunque mi prendo o che mi
vengono dati. Poi torno all’appartamento. Nell’ascensore stesse scene di
divorziate con figlie che lanciano occhiate e mezze frasi da adescamento. Di
quelle che ci stanno e te lo dicono inequivocabilmente.
All’appartamento,
qualcuno, non so chi, mi dice cose di contratti. Cose che non capisco dato che
se avevo già le chiavi e datemi, o fattemi avere, dalla proprietaria... Sempre
frotte di donne con figlie che sbirciano, vorrebbero fare conversazioni,
infilarsi in casa e che mi dicono in che appartamento abitino.
Mi sveglio perché ho
già fatto il mio ciclo di sonno e, in genere, dopo un ciclo od un paio di cicli
di sonno mi sveglio, eventualmente solo appena. Guardo l’ora. O per l’ora, o
perché ne sento la necessità, o semplicemente il desiderio, decido di
rituffarmi nel sonno.
Nelle scene a
sfondo erotico dei sogni mi chiedo in genere se siano sogno o realtà,
percepisco che sono sogni, per cui sono sempre scene vissute sapendo, già
quando si svolgono, che non sono reali e sono come dei pre-preliminari di vero
erotismo e sesso con altre.
Forse è la prima
volta che mi capita una cosa che sembra vera, per cui non mi ero chiesto se
fosse stata sogno o realtà. Non solo. Ha proprio la materialità della cosa
vera. È una con un viso bellissimo e ci stiamo baciando, ma baci davvero
consistenti. Non quelle cose che aprono la bocca od agitano la lingua perché
l’hanno visto fare al cinema. Bensì ma una di quelle situazioni dove i baci
sulla bocca sono profondi e solidi. Davvero una cosa molto molto vera, non da
sonno e sogno, e senza riserve mentali come quando uno si chiede se siano sogni
o meno e capisce lo siano. Il ciclo di sonno finisce e mi sveglio come l’avessi
ancora lì appiccicata alle mie labbra.
Guardo l’ora ed è
tempo che mi alzi, nella mia stanza all’ostello. Vado a pisciare è c’è una
ragazzetta che si sta lavando col culetto all’aria. Fianchi sottili, corpo
esile ma consistente su delle belle gambe e su quel culetto sodo e proteso
all’esterno. Non vi sono altri, per cui faccio un “nnnnnnnnnnnnnnh”, non alto
ma ben udibile, con l’intonazione d’ammirazione che le bimbe subito capiscono,
prodigi telepatici!, anche quando, per strada, lo faccio solo mentalmente alla
vista di qualcuna che attiri la mia attenzione.
Lei guarda dallo
specchio, percepisco un suo turbamento, ma resta con quel culetto ben all’aria,
invitante. Quando esco dal gabinetto, lei è ancora lì ai lavandini. Le rilancio
un’occhiata e, mentre me ne vado, ripeto un altro “nnnnnnnnnnnnnnh”
d’ammirazione e desiderio.
Dopo un po’ sento
il bisogno di controllare se quel gustoso culetto all’aria sia ancora lì. Per
cui ripercorro il corridoio, col bicchiere per andare a bere un po’ d’acqua.
Deve essere in stanza ma con la porta aperta. Io non guardo mai dentro le porte
aperte, eventualmente solo con la coda dell’occhio. Quando torno indietro lei
si è fatta sulla porta. Anche vista davanti è proprio una ragazzetta gustosa.
Ben fatta. Esile ma piena, e con gambe sode e bacino e fianchi ed attaccatura
delle gambe, sì proprio lì-lì!, davvero sexy che subito ti immagini di
sguazzarle dentro ben accolto e ben corrisposto.
Le rifaccio un
“nnnnnnnnnnnnnnh” mentre la squadro serio. Lei arrossisce tutta. Ma non si
ritrae. E tuttavia non dice nulla. Per cui non mi fermo e torno nella mia
stanza. Continuo a pensare a lei, col cazzo duro-duro, duro da far male. Non
aspetto che pochi minuti per ritransitare verso i lavandini mentre mi lavo i
denti. Lei ha la porta aperta. Quando torno indietro, si è rifatta sulla porta.
La risquadro e le rifaccio: “nnnnnnnnnnnnnnh”.
Lei riarrossisce, sorride mi fa:
- “Che c’`e?”
- “Come che c’è?”
- “Perché mi guardi
e mi fai quel nnnnnnnh?”
- “Come, che c’è?!
Ci sei tu!”
Lei ancora più
rossa e senza ritrarsi, anzi ben lì:
- “Ed allora... che
cosa vuoi?”
- “Voglio te...”
Il rossore le
aumenta ulteriormente, ma di desiderio e sorridendo:
- “...Neanche mi
conosci...”
Mi avvicino a lei,
a pochi centimetri o meno. Lei non si ritrae. Era lì per essere presa... Io le
faccio:
- “Dimmi tutti di
te...”
La fisso negli
occhi. Le prendo il viso tra le mani:
- “Come sei
bella... Sei meravigliosa...”
Le bacio gli occhi,
mentre la tiro verso di me. Poi, il collo, il naso e le labbra mentre siamo
l’uno contro l'altra, e lei che si fa tirare e mi aderisce, e la accarezzo
lungo il corpo, i fianchi, le cosce. La sospingo nella sua stanza e chiudo la
porta. Con le mani le vado sotto una corta gonna che le sollevo. Le accarezzo i
fianchi, ora pelle a pelle, ed il culetto senza vestiti frapposti. Non ha le
mutande. La adagio sul letto. Le sollevo le gambe e le vado con le labbra e la
lingua sulla righetta che le allargo con le ditta. Le succhio il clitoride che
la manda subito in visibilio.
La sento ben
lubrificata. Ho il cazzo gonfio e duro, durissimo, da far male. Glielo
introduco piano, con sussulti d’aggiustamento, e quando è scivolato tutto ben
dentro, e sia lui che la fichetta sono a proprio aggio, comincio una bella
cavalcata da sogno sia per lei che per me, e che ripeto tutte le volte che,
eiaculato, mi ritorna duro.